Smart Working

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Come tutte le cose forzatamente provvisorie , anche lo Smart Working rischia di diventare  un provvisorio definitivo. E’ inutile ribadire che da tempo si era affacciato nel mondo del lavoro questo nuovo orizzonte culturale che ha come focalizzazione metodi sistemi, strumenti, del lavoro nati sotto la forte pressione della  rivoluzione digitale.

Ora, se non siete tra quelli che lo ritengono un obbligo legato alla situazione, se non siete tra coloro che lo vedono come un problema da superare rapidamente ma ritenente che possa essere una opportunità da cogliere, è bene  analizzarlo nel dettaglio nelle diverse sue sfaccettature.

Nella prassi lo Smart working è inteso come “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare, a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati” (Osservatorio Smart Working,2016).

Al di la, infatti,  del primo approccio che in questo momento inevitabilmente è tecnologico e che vede in primo piano web conference, web meeting, chatroom, cloud,  web calendar e molti altri strumenti informatici,  lo Smart Working ha altri  punti di osservazione altrettanto importanti ma spesso tralasciati in secondo piano: quello organizzativo, quello relazionale e  psicologico, quello  giuridico e sindacale etc. tutti temi che   se non approfonditi ne rendono la sua corretta  applicazione estremamente difficoltosa.

Per esempio e cosa assai bislacca e interessante in Svizzera già troviamo una prima sentenza  emessa di recente dal Tribunale federale dove  Il datore di lavoro dovrà pagare una parte dell’affitto dei suoi dipendenti se li obbligherà a lavorare da casa seppur per forza maggiore (Covid), https://www.tio.ch/svizzera/attualita/1439426/lavoro-datore-telelavoro-affitto-tribunale.

Il caso trattato dalla corte di Mon Repos riguarda un impiegato di una società fiduciaria di Zurigo. L’uomo aveva chiesto un risarcimento ma non era riuscito a trovare un accordo con il suo datore di lavoro. I giudici hanno inoltre stabilito che il risarcimento da parte della società – 150 franchi al mese – ha effetto retroattivo.

In Italia molti concetti e anche alcuni  dettali operativi del lavoro smart sono stati formalizzati attraverso una  legislazione stilata in tempi non sospetti  la legge  81 del 2017 (https://www.ipsoa.it/normativa/legge/22-05-2017-n-81/capo-i) a cui rimandiamo per una puntuale lettura e della quale riportiamo il seguente articolo che è già anticipatore per molte riflessioni:

CAPO II – art 18 – Lavoro agile

1.Le disposizioni del presente capo, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, promuovono il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

Non solo ci troviamo difronte a un caso unico in cui una legge precorre i tempi, cosa assai rara per l’Italia,  ma a buon vedere articola un rapporto datore di lavoro e collaboratore proiettati più verso il futuro che verso il passato. Il legislatore infatti ha voluto sottolineare che  questa forma di lavoro si allontana di  molto dalla strutture  del lavoro tradizionale che racchiuso all’interno delle mura aziendali era rigidamente vincolato nei tempi  e nelle modalità esecutive.

Si abbandona la visione tradizionale della  funzione  del lavoratore  meramente  esecutiva e  si propone in alternativa una articolazione del rapporto datore del lavoro e lavoratore  basata  sulla condivisione degli obbiettivi  e sulla autonomia del lavoratore stesso  nelle modalità e nelle tecniche con  cui egli intenderà sviluppare il proprio lavoro permettendo una grande autonomia discrezionale allo stesso.

E’ questa una visione molto vicina ai principi  con cui si opera all’interno dell’ambito professionale, come anche molto vicina all’ambito professionale è  il modo in cui si arriva all’accordo tra le parti: non per semplice direttiva/ordine/comando , ma attraverso un “accordo tra le parti”; insomma un rapporto tra le parti un po’ meno gerarchico/militare!

Altro elemento interessante è che , facendo salvo il vincolo contrattuale legato al tempo, questo ormai perde di importanza vedendosi relegato a una mera forma accessoria, peraltro contrattata sempre tra le parti attraverso accordi strettamente personali.

Questa visione del lavoro è sicuramente una visione molto emancipata sia nei riguardi dell’esecutore del lavoro e quindi dello smart worker, sia per il datore del lavoro stesso e  primo tra tutti proprio  il ”responsabile diretto” dello SW.

Lo Smart Working quindi si configura pienamente all’interno della evoluzione delle aziende che per mantenere la loro competitività nel mercato devono  passare da organizzazione reattive ad organizzazioni  innovative e creative; questa sfida necessita a tutti i livelli  una forte  assunzione di responsabilità e di carica di iniziativa e contemporaneamente una forte dose di resilienza necessaria a  tollerare gli errori che inevitabilmente verranno fatti perché  frutto di  tentativi di andare oltre una situazione attuale ritenuta insoddisfacente  e il più delle volte estremamente consolidata e rigida.

Risolvere problemi ecco la vera sfida dell’era  digitale, problemi che se risolti permetteranno più produttività e maggiore qualità nell’erogazione del prodotto servizio, ecco quindi che il nostro  SW risulta essere a tutti gli effetti , il nuovo  primo attore della digitalizzazione.

La  motivazione in questo scenario ricopre una valenza strategica;  solo una adeguata motivazione  permetterà di risolvere tutti quei problemi che nasceranno dal disegnare un ruolo completamente diverso dal passato.

Questa  forte emancipazione del lavoratore che passa dall’essere un mero esecutore di procedure , spesso stabilite da qualcun altro a completo attore delle sue attività, necessita di  un salto qualitativo importante che potrà  essere attuato se e solo se il soggetto in questione potrà maturare  delle competenze che fino ad ora nessuno andava a richiedergli : capacità di identificare le priorità, capacità di lavorare in autonomia, capacità di lavorare in gruppi da remoto, capacità di regia del proprio lavoro,  capacità di comunicare attivamente e molto altro ancora .

La prima grande sfida, a mio avviso,  che si porrà al lavoratore digitale sarà quella di saper dosare  le proprie  energie (tempi e forze), fuori da vincoli esterni e  costrizioni,  libero si ma non privo di grandi interferenze: familiari, ambientali  etc. Uno scoglio , questo, da superare secondo strategie nuove ed individuali che andranno concordate con tutti i propri referenti interni ed esterni ma che necessitano tutte di una disciplina personale molto forte, e perché no “disciplina professionale”,  sulla quale strutturare il proprio lavoro.

Contemporaneamente anche la leadership del suo referente muta completamente nella forma e nella sostanza.

IL “vecchio Capo” padrone del tempo e  dedito al controllo delle attività dei suoi dipendenti, lascia il posto a un “leader agile” che poco si dovrà curare  delle attività che i suoi collaboratori dovranno svolgere, ma  molto dovrà adempiere nei confronti della condivisione di visioni, strategie e per definire obbiettivi che lui e la sua squadra ritengono fondamentali per il raggiungimento del successo dell’organizzazione.

Essere  leader, in questo contesto, vuol dire avere la capacita di formalizzare e condividere una visione e  una strategia.  Fornire una visione guida per la definizione di obiettivi condivisi è, a mio avviso, l’area di messa a fuoco più necessaria, e quella che sopravvive anche dopo che l’organizzazione e la cultura sono in gran parte autogestite e autosufficienti.

Importante al riguardo assumerà il ruolo della gestione della comunicazione e, se del caso, dei conflitti che saranno  da affrontare e superare attraverso sistemi soft e non hard ( Negoziazione )

Strategie, obbiettivi, problem solving , vincoli ambientali, tutto porterà inevitabilmente a un carica importante di stress , elemento anche questo da non sottovalutare;  quando però gli obiettivi sono allineati alle proprie motivazioni  e a quelle dei propri collaboratori, è più facile contestualizzare un buon piano d’azione.

La motivazione a ben vedere è l’unica vera forza che si può mobilitare  per orientare il lavoro e potenziarlo nelle sue più complesse necessità intellettuali,  e  probabilmente questo si potrà ottenere solo se è stato coltivato un sano senso di appartenenza all’organizzazione nel suo complesso.

Anche  per questo e non solo, l’organizzazione dovrà essere  diversa da quella che siamo abituati a vedere oggi, si dovranno determinare azioni per supportare  il lavoratore e i  loro leader in  una situazione completamente nuova dove la  vera sfida  è una gestione innovativa dell’innovazione.

L’innovazione in questo quadro, necessita di sperimentazione finalizzata a  creare nuovi apprendimenti e nuovi saperi che andranno a rimpiazzare quelli obsoleti. Si dovrà alimentare , perciò, un ambiente con scambi continui e reciprochi tra tutti i nodi della rete di appartenenza e si dovrà instaurare una cultura che alla sua base valorizzi le competenze e il capitale  professionale accumulato unico valore, questo,  per essere adeguati ai nuovi tempi.

Ecco un breve elenco in conclusione di altri importanti  azioni da generare :

  • Stimolare un ambiente solidale /cooperativo
  • Promuovere una cultura che dà valore all’individuo e alle sue competenze
  • Promuovere un concreto benessere dei propri collaboratori
  • Stimolare la responsabilizzazione su obiettivi e la presa in carico dei problemi
  • Generare la cultura del rispetto nelle relazioni di lavoro  tra pari e nelle gerarchie
  • Supportare la crescita personale e professionale dei colleghi
  • Assicurarsi che vi siano risorse sufficienti (tempo personale) per portare a termine il lavoro
  • Includere i dipendenti nel processo decisionale
  • Riconoscere il contributo di ognuno
  • Assicurare la flessibilità minima perché vi sia un equilibrio fra lavoro e tempo per se stessi
  • Engagement sul cambiamento in genere

 

Ora che siete giunti  fino a questo punto, spero sia forse un po’ più chiaro che cosa si intenda per Smart Working  e quanto questa prospettiva sia in effetti sfidante per le organizzazioni. Il successo di una trasformazione agile è tutt’altro che facile. La maggior parte delle organizzazioni ha tentato una trasformazione agile almeno una volta e spesso di più nel recente passato. E molti hanno fallito. Quindi, entrare senza un chiaro senso di ciò che i leader sperano di ottenere, o senza un piano realistico o con solo un supporto debole del board , è quasi certo che si tradurrà in un fallimento.