Sei Cappelli per pensare

Il “metodo dei sei cappelli”, inventato e formalizzato da de Bono, è un sistema molto efficace per uscire dalla logica del conflitto presente nel modello dialettico tradizionale. Esso prevede sei diversi ruoli o “parti”, che possono essere “interpretate” durante una discussione – un po’ come i “sei personaggi in cerca d’autore” di memoria pirandelliana.

Quando, nel corso di una discussione, sosteniamo i nostri argomenti tendiamo com’è ovvio a valorizzare la nostra tesi mettendone in risalto i punti di forza, o quelli che a noi sembrano tali. Ma spesso accade che, da parte del nostro interlocutore, si alzi una pesante cortina di obiezioni: egli ha infatti tutto l’interesse a mettere in luce le contraddizioni e i lati negativi che le nostre affermazioni contengono.

Immaginiamo, ad esempio, che la discussione verta sul nuovo progetto del governo di abolire degli esami di riparazione a scuola. Uno potrebbe essere d’accordo sulla proposta, sostenendo che gli studenti avrebbero così modo di colmare con maggiore serenità le loro lacune, senza dover subire la pressione dell’esame. Altri potrebbero invece obiettare che questo toglierebbe ogni stimolo al miglioramento degli studenti scolasticamente più deboli.

Pur non essendoci in gioco alcuna scelta operativa immediata, visto che ci si trova soltanto all’inizio di un’analisi, ciascuno dei due interlocutori ha già deciso qual è la propria posizione, e lo sforzo di entrambi non sarà quello di approfondire i pro e i contro delle rispettive tesi, bensì quello di ottenere ragione.

Nel sistema di de Bono, come vedremo tra breve, è come se il primo avesse indossato il cappello giallo, il secondo quello nero – e nessuno dei due è disposto a indossare quello del suo interlocutore. Nero e giallo sono due “punti di vista”, entrambi perfettamente leciti, e anche strumentalmente utili, ma nella fattispecie sono usati in modo poco costruttivo, ovvero vengono sostenuti contemporaneamente e con modalità asimmetriche, cioè vengono contrapposti l’uno all’altro.

De Bono propone invece, in casi come questi, di rendere i due punti di vista “paralleli”. Immaginiamo cioè che i due interlocutori utilizzino nello stesso momento lo stesso cappello, e che entrambi si sforzino di indossare via via tutti gli altri secondo una modalità sequenziale. Questa modalità annulla di colpo la competizione, eliminando la contrapposizione che ne deriverebbe e raddoppiando lo sforzo mentale volto ad analizzare tutti i possibili punti di vista. Tutti i partecipanti alla discussione dovranno, in momenti diversi e con la stessa uguale motivazione, adottare sei punti di vista diversi, ovvero indossare sei cappelli di diverso colore; ciò porterà infine a un’analisi approfondita della tesi in questione. Il momento valutativo e decisionale avrà luogo solo al termine di questo processo.

Lo strumento un po’ teatrale dei sei cappelli consente di raggiungere due scopi: rende praticabile facilmente un concetto innovativo (la cooperazione mentale) e istituisce un nuovo modello di logica. La grande invenzione di de Bono non sono in se i  cappelli, siano essi sei o dieci, né il suggerimento di isolare e attenuare i conflitti per migliorare l’atmosfera delle riunioni di lavoro, espediente peraltro di sicura efficacia. La vera novità consiste nell’aver concepito una logica diversa e vincente, in linea con molte moderne teorie che si sono andate affermando nei tempi più recenti e che attribuiscono un valore molto più grande alla cooperazione piuttosto che alla competizione – per non citarne che una, pensiamo alla teoria dei giochi, che ha fruttato a John Nash il premio Nobel nel 1994.

I sei cappelli ideati da de Bono sono i seguenti.

Il cappello bianco rappresenta il momento della ricerca, della raccolta, della sistematizzazione delle informazioni e dei dati di cui si dispone all’inizio. In questa fase gli interlocutori devono porsi le seguenti domande: quali sono i dati a nostra disposizione? Abbiamo tutte le informazioni necessarie? Come facciamo a procurarci le informazioni che ci mancano? I dati a nostra disposizione sono attendibili? E così via, cercando di assumere un atteggiamento investigativo alla Sherlock Holmes.

Il cappello rosso si indossa per liberare ed esternare pubblicamente le sensazioni, le emozioni e i sentimenti (spesso trattenuti, o sottaciuti) che possono nascere davanti alla situazione che stiamo analizzando. Se ne parla senza il timore della pesantezza o della leggerezza di queste emozioni, e senza vergognarsi di quello che si dice, senza pudori o censure preventive (o autocensure).

Il cappello nero va indossato per analizzare le controindicazioni di un’idea, il suo lato negativo. Con questo cappello si cerca di approfondire le ragioni per cui un’idea non funziona. Non si tratta di esprimere generici “non mi piace” – riservati tutt’al più al momento del cappello rosso –, ma fatti oggettivi o limiti reali che possono impedire lo sviluppo di un nuovo prodotto o progetto. Serve per evitare abbagli o sbagli o frustranti dispersioni di risorse.

Il cappello giallo si indossa per indagare i lati positivi di un’idea o di un progetto. Si devono approfondire su base logica i vantaggi concreti che possono derivare dalla sua realizzazione, i suoi punti di forza e le sue potenzialità intrinseche.

Il cappello verde va indossato per entrare nel mondo della creatività, per poter produrre nuove idee, per muovere le routine, per cercare alternative e spunti in ogni direzione, per allargare gli orizzonti, per essere “outside the box”.

Il cappello blu è il cappello “operatore” che permette la guida “razionale” della nostra mente. Va indossato specificatamente per imporre un controllo al modo di pensare, sia a livello individuale che di gruppo. Con il cappello blu possiamo perciò gestire anche gli altri cappelli e studiare sequenze alternate nel loro uso. Permette inoltre di stabilire le priorità da seguire e gli obiettivi da raggiungere. Ha una funzione normativa per stabilire un’agenda e un progress efficienti.

Il metodo dei sei cappelli ha innanzitutto il vantaggio di essere utilizzato dalle organizzazioni lungo l’iter di sviluppo di un progetto, di una attività, di un processo: dal lavoro di intelligence sulle informazioni al controllo delle idee prodotte e della loro fattibilità. È un metodo ideale per le aziende di una certa complessità, dove si vuole dare una scossa di innovazione comportamentale. È valido per la conduzione delle riunioni, per la gestione di progetti e per la puntualizzazione dei processi. Questo può avvenire studiando una successione precisa e predeterminata dei cappelli che si vogliono esaminare.

Ma in realtà, i sei cappelli sono utilizzabili anche dal singolo individuo; anzi, a mio avviso, il metodo dovrebbe essere prima interiorizzato dal singolo e solo successivamente introdotto nelle organizzazioni. Esso rappresenta un modo per l’individuo di facilitare il contatto con la realtà, con le persone e con i problemi che quotidianamente gli si presentano, per entrare e uscire con consapevolezza da quello che si sta facendo.

È, questa, una ginnastica che abitua la mente a occupare diverse posizioni: il distacco dell’investigazione, la consapevolezza dell’emozione, la necessità della valutazione positiva ma anche di quella negativa, lo sforzo per liberare l’energia creativa, il controllo razionale.

I sei cappelli non sono solo dei punti di vista, ma determinano la necessità di ricoprire un vero e proprio ruolo, una assunzione di responsabilità “intellettuale” ampia e profonda, che riconduce il proprio ego alla sola consapevolezza.